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Da un’analisi, si è stimato che il 95% del ferro e dell’acciaio contenuto nei prodotti ritorni sottoforma di rottame “vecchio” [Sibley et al 1995]. Negli ultimi anni si è avuto un aumento rilevante nella tecnologia del riciclo dell’acciaio in termini di qualità e quantità dei prodotti in cui l’acciaio riciclato può essere impiegato.
Facendo una previsione a lunga scadenza è possibile affermare che, almeno per i paesi industrializzati, si arrivi ad una saturazione fra la richiesta di acciaio e la produzione di acciaio ottenuta dalle tecnologie di riciclo; in questo modo i produttori di ferro e acciaio che partono dai minerali di ferro sono destinati ad estinguersi.
Questa previsione assume che in futuro la tecnologia del riciclo dell’acciaio sia capace di rimuovere, dai rottami di ferro e acciaio, i contaminanti metallici chiamati in gergo “tramp”, come alluminio e rame, che non risultano essere presenti nei minerali ferrosi delle riserve naturali.

Il Rame rappresenta meno del 1% del peso totale di ogni serie di rifiuti ad eccezione di quella dovuta a materiali elettrici ed impianti elettronici (7.8%) e quella dei veicoli alla fine della loro vita (0.9%). Queste due ultime serie contengono il 72% del rame presente nei rifiuti; il rimanente 28% può essere diviso in cinque categorie di rifiuti: rifiuti industriali, rifiuti da costruzioni o demolizioni, rifiuti solidi urbani, rifiuti pericolosi e acque reflue; qui il contenuto di rame varia fra 0.02% e 0.07%. Almeno il 16% del rame contenuto nei rifiuti ha una concentrazione inferiore allo 0.05%.
La ricuperabilità del rame dai rottami “vecchi” dipende molto dalla loro origine e composizione.
I rottami possono essere divisi in: rottami diretti dovuti alla produzione, dove si hanno elevate purezze e vengono riciclati immediatamente all’interno dell’impianto di produzione; rottami “nuovi” dovuti alle fasi di fabbricazione del metallo come la sbavatura e l’alesaggio; e rottami “vecchi”.
Il problema per il recupero del rame sono i rottami “vecchi” provenienti da prodotti e attrezzature scartate.

I rottami di rame possono essere catalogati in quattro tipologie secondo il contenuto di rame e il modo in cui sono trattati per il loro recupero [Davenport W. G. 1986]:
• rifiuti a basso tenore con una composizione di rame variabile fra il 10% e il 95%. Questi materiali sono fusi in altoforno o in forno Martin e poi raffinati a fuoco o elettroliticamente. Possono anche essere trattati in convertitori di fusione primaria Peirce-Smith;
• rottami di leghe, la maggior componente utilizzata nei sistemi di riciclo, costituiti da ottone, bronzo e cupronichel sia da “nuovi” che da “vecchi” rottami. Qui non ci sono vantaggi nel raffinare queste leghe per ottenere rame puro, vengono fuse in forni Martin, rotanti o a induzione e rifuse come leghe;
• rottami, “nuovi” o “vecchi”, che hanno un elevato contenuto di rame puro ma sono contaminati da altri materiali (esempio i metalli usati nei rivestimenti, saldature o giunzioni). Questi rottami sono fusi nei convertitori Peirce-Smith o nelle fornaci ad anodo per la raffinatura primaria o secondaria, dove una gran quantità delle impurità (Al, Fe, Zn, Si, Sn) viene rimossa attraverso l’ossidazione con aria;
• rottami di qualità, richiedono solamente la fusione e la colata. Questi rottami provengono da rifiuti di fabbricazione (esempio barre, fili scoperti, stampi) e sono fusi e colati come lingotti di rame o leghe in bronzo o ottone.
E’ importante notare che i rottami di leghe sono tipicamente riutilizzati in leghe simili; comunque anche il rame puro può essere usato sia come puro che all’interno di leghe.

Da un punto di vista commerciale non esiste una domanda di rottami di rame con un contenuto del metallo inferiore al 30% per gli Stati Uniti e l’Europa, e al 50% per il Giappone. Specialmente per le automobili, i camion e gli elettrodomestici si ha una grande quantità di questi rottami.
In generale l’efficienza del recupero è proporzionale alla percentuale di rame contenuta all’interno dei rifiuti, infatti, è difficile migliorare del 30-50% il livello del contenuto in metalli non ferrosi attraverso l’utilizzo delle tecnologie sviluppate per il settore minerario. La tecnologia per il recupero dei rottami “vecchi” da prodotti elettrici ed elettronici, automobili e elettrodomestici è ancora primitiva e il metodo più efficace è la separazione a mano che non è praticabile per gli altri costi del lavoro.
L’attuale tecnologia per il riciclo dei rottami a basso contenuto di rame è costituita da quattro stadi [Simada et al 1999].
Il primo stadio è la tranciatura. Dopo questa fase i frammenti ferrosi possono essere rimossi magneticamente. Purtroppo il processo di separazione magnetica non è completamente efficace e alcuni metalli non ferrosi rimangono nei rottami di ferro e acciaio. Questo si potrebbe presentare come un problema in quanto alcuni metalli non ferrosi risultano contaminanti indesiderati nella metallurgia secondaria dell’acciaio. La separazione magnetica lascia residui che possono avere un contenuto di rame nel limite dello 0,3%. I materiali organici possono essere eliminati attraverso la combustione o la pirolisi, in questo modo si riduce la massa dei residui e si aumenta il contenuto di rame negli stessi allo 0.6% o più. La combustione è un processo delicato in quanto le temperature in gioco sono molto elevate (oltre i 1000 °C) al fine di prevenire la formazione di diossina; nonostante questo, i prodotti della combustione necessitano di trattamenti prima dell’emissione. I residui solidi ottenuti da queste fasi sono sottoposti a tecniche bagnate o secche che aumentano il contenuto in rame attorno al 30%. Alcuni di questi materiali possono essere introdotti all’interno dei forni di fusione primaria del rame. Le tecniche di fusione e raffinamento dipendono dal contenuto o assenza di metalli preziosi all’interno dei rottami.

I processi maggiormente utilizzati nel recupero del rame secondario sono il pre – trattamento dei rottami metallici e la fusione.
I processi maggiormente utilizzati nel riciclo dei rottami di rame sono:
• Altoforno: forno verticale a tino, anche conosciuto come cupola, ha la capacità di fondere rame o materiali a base rame di diversa natura chimica o fisica. E’ l’unità comunemente utilizzata nel trattamento pirometallurgico dei materiali secondari a basso contenuto di rame, ed ha un elevato controllo nelle perdite di metallo nel sistema [Nelmes 1984];
• Forno a riverbero: attivo dal XIX secolo. E’ ancora utilizzato per la produzione di una significativa frazione sia di rame primario che secondario, e per il riciclo di rottami metallici secondari. Gli svantaggi di questa fornace sono i tempi lunghi del ciclo di fusione e le basse efficienze di alimentazione [Davenport 1986];
• Fornace ad Arco Elettrico: è anche utilizzata nella fusione secondaria di rame. La Fornace ad Arco Elettrico è classificata a 72 tonnellate e produce da 310 a 330 tonnellate al giorno [Blanton 1999]; Il carico è per il 75% - 80% di rottami e 20%-25% di lingotti.

Sfortunatamente sembra più facile separare il ferro dai rottami di rame che viceversa.
Quando i rottami metallici sono principalmente acciaio, come nel nostro caso, si ha un serio problema dovuto alla contaminazione del rame all’interno dell’acciaio nella fase di riciclo mediante fusione. Quando il rame supera, approssimativamente, lo 0.1%, la lavorabilità dell’acciaio EF degrada in modo significativo [Katayama & Mizukami 1996]. Il limite superiore del contenuto di rame nell’acciaio per il settore meccanico, dove è richiesto un alto grado di lavorabilità, sembra essere attorno allo 0.3%; questo limite superiore potrebbe diminuire in futuro come la necessità di diminuire il peso che induce i produttori di acciaio ad ottenere acciai laminati molto sottili. Mentre il ferro è effettivamente rimosso dal rame durante la fase di fusione e raffinatura, la rimozione del rame dall’acciaio secondario sembra essere molto difficile. Oggi il solo metodo dimostrato sembra essere la distillazione in vuoto, che è lontana da un’applicazione pratica visto i costi elevati.

La bassa percentuale di rame contenuta nell’acciaio secondario è lontana da essere ritenuta come futura sorgente di rame, ma allo stesso tempo costituisce una barriera al riciclo dei rottami di acciaio aventi un contenuto significativo di rame. La soluzione ovvia è quella di rimuovere il rame prima della fase di riciclo dell’acciaio, ma è più facile da dire che da farsi.

La quantità di rottami di qualità è limitata e si assiste ad un incremento del consumo di rottami obsoleti nella produzione di acciaio. Il problema è che questi rottami accumulano elementi contaminanti come Cu, Sn, As, Sb, ecc.
Il rame è uno dei più fastidiosi contaminanti nell’acciaio, gli effetti prodotti dal rame sono dovuti alla sua presenza nella soluzione solida durante la produzione dell’acciaio. Non viene rimosso durante questa fase ed è frequentemente presente nei rottami obsoleti in concentrazioni dello 0.5% o anche maggiori. Studi particolari dimostrano che è necessario mantenere una concentrazione di rame negli acciai ad alto livello inferiore allo 0.2% per garantire un livello qualitativo dei prodotti [Herman et al.]. Per questo motivo le fluttuazioni della qualità dei rottami di acciaio costringono i produttori di acciaio a focalizzare l’attenzione sulla chimica del metallo utilizzato, in quanto non ci sono ancora metodi per controllare perfettamente il contenuto di rame durante la produzione di acciaio eccetto l’utilizzo del metodo di diluizione [Nilles et al. 1997] [Siwka et al. 2000].

Il rame è l’elemento chiave legato ai difetti superficiali. E’ generalmente accettato che il rame in eccesso del 2% in peso può causare seri problemi indotti dall’arricchimento di rame dovuto alla non ossidazione di questo elemento durante la fase di ricottura e la formazione di squame. A temperature di oltre 1065 °C, una fase liquida potrebbe formarsi all’interfaccia metallo squame dove la solubilità limite del rame nell’austenite è aumentata e potrebbe attaccare i bordi di grano inducendo micro fratture.
Il nichel, mentre aumenta la solubilità del rame nell’austenite, può compensare l’effetto del rame se presente in percentuali dello stesso ordine. Sn, può inoltre giocare un ruolo significativo nel problema della fragilità termica attraverso la riduzione della solubilità del rame abbassando il punto di fusione della zona ricca di Cu-Sn. L’aggiunta dello 0.05% di Sn in un acciaio contenente lo 0.2% di Cu ha un effetto rilevante sull’indice di criccatura, in particolare a 1150 °C [K. Born 1953].
I difetti superficiali appaiono lungo l’intera linea di lavorazione a caldo, durante il getto o la laminazione a caldo dove la profondità dei difetti superficiali può raggiungere i 35 ?m.
La fragilità termica superficiale coinvolge due stadi: la formazione di isole ricche di rame durante la ricottura e la formazione di fratture durante la lavorazione a caldo; il tasso di ossidazione (temperatura, tempo, atmosfera) e la temperatura di deformazione sono di primaria importanza.
Il rame può inoltre avere un effetto sulla temprabilità dell’acciaio, ed e più efficace negli acciai a basso contenuto di carbonio.

La rimozione del rame nella fase di preparazione dei rottami ferrosi è possibile solamente per il rame metallico fisicamente distinto. Ci sono solo alcuni metodi commerciali di rimozione meccanica dei residui attraverso un avanzato processo di tranciatura, o una lisciviazione elettrochimica, o un riscaldamento in vuoto. Come per il rame diluito, numerosi tentativi sono stati fatti, ma i metodi sperimentati non sono ancora competitivi a livello commerciale.

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K. Born, Sthal Eisen, 1953, 73, 1268.