Che ne sa l’ECHA sugli usi del triossido di cromo?

E’ quello che ci si chiede dopo aver letto le affermazioni riportate in un articolo su Chemical Watch.

04/08/2016

Tra le news pubblicate on-line dalla rivista Chemical Watch il 28 luglio 2016 val la pena di leggere e meditare quella titolata: Dutchchromium VI analyses ‘incorrect’, Echasays.

L’articolo si riferisce ai risultati di uno studio commissionato da tre delle maggiori associazioni industriali olandesi (FME: organizzazione imprenditoriale nel settore della tecnologia olandese; Koninklijke Metaalunie: organizzazione di imprenditori di PMI nel settore dei metalli e Vereniging ION: organizzazione delle aziende di trattamento delle superfici) sugli effetti che avrebbero sull’economia olandese e dell’intera Unione europea, dei periodi di revisione delle autorizzazioni all’uso del triossido di cromo più brevi di quelli richiesti dal CTACSub e più precisamente 7 anni a fronte della richiesta di 12 e 4 anni a fronte della richiesta di 7. Che questo sia l’orientamento dell’Agenzia Europea per le sostanze chimiche (ECHA)lo ha fatto sapere lo stesso CTACSub con un comunicato stampa del 27 giugno 2016.

Nell’articolo si riferisce che secondo ECHA lo studio si basa su ipotesi non corrette. Secondo ECHA lo studio non ha considerato il fatto che l’autorizzazione non viene rilasciata una sola, unica volta ma può essere rinnovata.
E’ sconsolante dover constatare che ECHA non ha ancora capito che il problema maggiore dell’autorizzazione è l’incertezza; incertezza sull’esito della procedura e poi proprio sulla durata della eventuale autorizzazione. Le aziende non possono lavorare nell’incertezza! Non si possono fare investimenti sulla presunzione che ogni 4 o 7anni ci sarà il rinnovo dell’autorizzazione! Quale banca finanzierà investimenti con una prospettiva simile?

ECHA stima che il costo che una azienda deve sopportare per preparare e gestire una domanda di autorizzazione per un singolo uso si aggiri sui 120.000 € e osserva che questo costo può essere ripartito su un certo numero di anni (che è la durata dell’autorizzazione) e questo è indubbiamente vero; però non è indifferente ripartire la spesa di 120.000 € in 4 o 12 anni! E comunque bisogna averli o trovarli quei 120.000 €.
Non è facile averli per una micro o piccola azienda galvanica italiana e non è facile nemmeno farseli prestare per un’autorizzazione che non si sa quanto durerà.

L’articolo riporta poi alcune affermazioni di ECHA sugli obiettivi del REACH che sono in parte condivisibili.

Quello che realmente sorprende – e allarma – è il commento di ECHA alla conclusione cui giunge lo studio commissionato dalle associazioni olandesi e cioè che se la Commissione Europea accetterà i brevi periodi di revisione delle autorizzazioni proposti da ECHA la cromatura se ne andrà dall’Unione Europea e migrerà nei paesi dove sarà ancora possibile cromare.
ECHA sostiene infatti che se una sostanza costituisce per la salute umana o per l’ambiente un rischio scarsamente controllato il suo utilizzo o la sua produzione o semplicemente la sua presenza nel mercato può essere soggetta a restrizione nell’ambito del Regolamento REACH stesso, e aggiunge che la restrizione si applica non solo ai beni prodotti nell’Unione Europea ma anche a quelli importati. ECHA conclude che tra i suoi compiti c’è quello di vigilare sulla presenza negli articoli delle sostanze soggette ad autorizzazione (come il triossido di cromo) e si capisce che intende farlo.

Ecco, questo è il problema.
Ma lo sa ECHA che i prodotti cromati non contengono triossido di cromo (né altri composti di cromo esavalente) ma solo cromo metallo che è assolutamente innocuo?
Su quali basi pensa ECHA di limitare l’importazione di prodotti rivestiti di cromo metallo che non solo è innocuo ma conferisce ai prodotti proprietà e prestazioni che non hanno alternative?